00 07/03/2005 09:26
da unita.it

Renga: «Io, un ponte rock con gli anni '70»

Abbiamo sentito Francesco Renga poche ore prima dell’avvio dell’ultima serata del Festival di Sanremo. Le sue quotazioni, altissime per la strada e nelle radio, nel palazzo erano così discrete da garantirgli una onorevole sconfitta. Abbiamo riflettuto: sinceramente ci importa poco di chi vince il polpettone, importa poco persino alle case discografiche, pensate quanto può interessare a dei sinceri rockettari come la piccola pattuglia dell’Unità, spiazzata davvero dall’atroce assassinio di Nicola Calipari che col suo corpo ha protetto Giuliana Sgrena dal fuoco fraterno degli Usa. Mentre ci si chiedeva mesti che cavolo stavamo a fare in questo Barnum fatto di niente, abbiamo pensato: no pasaran, nemmeno a Sanremo. Va bene, passeranno ma sui nostri corpi. Passeranno chi? I Toto Cutugno, coi loro italiani veri, i Gigi D’Alessio col loro core in una mano e nell’altra il portafogli. Renga sei tutti noi.

Coi tuoi riccioli, la tua voce e la tua cultura di vita. Forza Renga. Eccolo. Francesco, ti rendi conto di essere diventato l’ultimo baluardo della civiltà contro lo strapotere di Cutugno e di D’Alessio, delle loro melensaggini, della loro musica che non ci rappresenta per nulla?

o l’ultima spiaggia? Non me ne rendo conto. Sanremo è zona loro: qui hanno vinto quasi sempre percorsi diversi dal rock. Sapere che il mio Angeli, che è un ponte con il rock degli anni ‘70, sia ancora in gara, sia papabile è per me una grande soddisfazione.

Senti, perdona un filo di enfasi ma la stiamo vivendo così: non sarà in atto una guerra di religione, ma un confronto tra culture, questo sì, perfino a Sanremo 2005. Non crediamo che le giurie così come sono state costruite possano esprimere un giudizio neanche pallidamente oggettivo rispetto ai gusti degli italiani, stiamo difendendo un’alternativa eterna alle frattaglie di cuore cantate con bella voce?

Se vuoi, prendila così, la storia delle culture è abbastanza vera. Ma, vedi, io ho già vinto, il confronto. Mi dicono che il mio brano è il più trasmesso dalle radio, che c’è già un bel po’ di gente che lo canticchia. Meglio di così... Grazie a Sanremo e grazie a Bonolis che mi ha offerto l’opportunità di partecipare senza star lì a farmi sezionare da questa o da quella commissione. Lui ha detto: vieni, e io mi son detto: ci provo. Era, è la quarta volta che salgo su questo palco. Stavolta è la migliore, la convocazione diretta mi ha regalato un senso di libertà piena che è già una vittoria. Così ho vissuto un Sanremo felice; viene da qui, credo, la forza comunicatrice di una bella canzone, al di là del palco; forse il pubblico sente il profumo della libertà, chissà?

proposito di confronto di civiltà, i tuoi fans avrebbero reagito come hanno fatto quelli di D’Alessio se tu fossi stato un po’ strapazzato da Vendrame?

Bisogna capire: fans o claque? Ho seguito quella brutta storia, l’ho vista. Mi ha colpito la violenza di quella reazione tra il pubblico, comunque eccessiva. Tra l’altro, Vendrame è uno pulito come un bambino e aveva fatto esattamente quello che gli era stato chiesto: criticare senza paure. Lo ha fatto e i risultati si sono visti, una vicenda tv che sarebbe stato meglio evitare.

D’Alessio e Cutugno stanno dove sono, ma intanto la musica italiana dove se ne va?

Credo si stia andando verso una riscoperta della musica degli anni ‘70, così come stanno facendo le Vibrazioni, ad esempio. Si torna al canto, vedi anche Tiziano Ferro, si torna al talento, una virtù perduta.

Sarà, ma quel che abbiamo sentito dal palco di Sanremo non racconta una storia di virtù perdute e poi recuperate. Con qualche eccezione, sono tutti lì, classic, gruppi, uomini e donne, a far palestra d’ugola. Cercano l’effetto, l’emettere suoni mirabilmente modulati è il fine e il mezzo, il cantare come racconto, come esperienza di vita, sparisce per far posto a una sorta di tecnocrazia, figliastra di una tradizione che è stata militarizzata da quella avvilente scuola per cloni gestita da Maria De Filippi. Che tristezza, non ti sembra?

Il canto non si può insegnare, ne sono convinto. Io penso che cantare sia una manifestazione che ha molto a che fare col mistero della vita. Non si impara e non si insegna. Quante volte ci hanno spiegato quanto Battisti avesse una voce poco o niente educata, poco o niente intonata... Quante balle ci hanno raccontato e come hanno distorto, magari senza volerlo, la verità. Cantare è musica, cantare è comunicare, raccontare: vedi un po’ dov’è finita la musica, il canto meraviglioso di Battisti se non nel cuore e nell’anima di tutti noi. E Vasco? Prova a passare un brano di Vasco Rossi a uno qualunque degli allievi di Amici e senti l’effetto che fa: non arriva da nessuna parte. Invece Vasco arriva, eccome. E Giorgia? Ha una bellissima voce, molto educata, ma mi stanca. Il canto è anima, dolore, vita è una cosa che hai o che non hai.

Sono d’accordo, ma ci crede sempre meno gente, siamo in pochi dietro questa barricata?

So come ci siamo formati in tanti. Cantine, pochi soldi, puzza di furgoncini, fatica, fatica; non per aver successo ma per amor della musica e di noi stessi. Allora, il fine era la musica, ora il fine è la televisione, andare in televisione, essere la televisione. Auguri, non sanno dove vanno. (ha ragione lui, abbiamo sempre vinto, solo che a volte non ce ne siamo accorti).